Santa Chiara


icona del monastere Ste Claire

Le fonti che ci tramandano l’infanzia di Chiara, ci parlano di una bambina buona e devota, compassionevole e dedita alla preghiera. Così come Chiara, probabilmente, erano la maggior parte delle fanciulle nobili del suo tempo, educate tutte secondo un ideale di nobiltà d'animo che non era disgiunto dalla pietà religiosa, e che si traduceva in compassione per i poveri e i bisognosi.
Ma una svolta inattesa attendeva la vita di questa giovane, destinata dalla famiglia a delle nozze degne del suo rango, che Chiara prima rimanda e poi rifiuta.
La novità che investe il suo tempo investe anche lei, e Chiara non ha paura di lasciarsi condurre per vie che nessuno mai prima aveva percorso. Sarebbe potuta dunque essere una brava e ricca donna di casa, come la sua famiglia le domandava; o una religiosa appartenente ad un ordine già nella Chiesa lungamente collaudato, come la Chiesa stessa inizialmente le indicava: strade antiche e quindi sicure, da percorrere tranquilla in compagnia di tanta altra gente. No, Chiara non solo sceglie una via nuova, e quindi incerta; ma in più, stranamente, fa di questa incertezza lo spazio per una fede nuova e viva, per un nuovo cammino di perfezione evangelica.
Per Chiara la novità inizialmente passa per un uomo davvero nuovo, cioè per Francesco.
Chiara ha circa 11 anni quando Francesco inizia a far parlare di sé. Ed è certo che la sua fama raggiunge anche la casa dei nobili Offreduccio, ed interroga, ed inquieta. Come Francesco, un po’ ovunque andava risvegliandosi nella Chiesa la voce dei laici, che chiedevano semplicemente di vivere il Vangelo; che chiedevano che il Vangelo fosse forma della vita.
Non sappiamo di chi sia stata l’iniziativa, né come avvennero gli incontri, né quanti furono. È solo certo che il fuoco che ardeva nel cuore di Francesco si accese anche in Chiara, che, presa dall’amore di Gesù,  chiese di essere ammessa nella nuova Fraternità.
Come i frati, anche Chiara segnò gli inizi della sua vita nuova con un taglio radicale: gli stessi gesti di Francesco, ma fatti in modo più silenzioso, meno eclatante. Come loro, Chiara vende la sua eredità, e dà tutto ai poveri. E sceglie così, come Francesco davanti al Vescovo, una nuova famiglia, una nuova paternità, quella dei poveri, che chiamano Dio Abbà.
La notte della fuga, la sera della Domenica delle Palme del 1211, Chiara raggiunge Porziuncola,  e lì trova ad attenderla Francesco, i frati, e madonna povertà, compagni fedeli di tutta la vita.
Ora la sua vita non vale più nulla. Vale come quella di un lebbroso della campagna di Assisi, come quella di un povero, come quella di chi è “solo” figlio di Dio.
Il percorso, d’ora in poi sarà lungo e difficile, alla ricerca di un luogo e di un modo per vivere questa nuova intuizione, quella di chi non vuole essere altro che una povera.
Il luogo di approdo (dopo un breve periodo vissuto come serva in una grande abbazia benedettina – un luogo che non poteva piacere a Chiara, non essendo in nulla diverso dalla nobile casa che aveva appena lasciata!-, e dopo un altro breve passaggio in una comunità di laiche penitenti) è S. Damiano, quella chiesetta che aveva visto l’incontro tra Francesco e il Crocifisso, quella chiesetta che Francesco aveva restaurato con le proprie mani.
Un luogo per nulla simile alle grandi abbazie del tempo; per nulla isolato in una autonomia autosufficiente; e per nulla lontano dalla comunità degli uomini.  Assisi è lì, a due passi, e Chiara continuerà sempre ad avere con la sua gente una relazione di cura e di amicizia reciproca.
Ben presto, Chiara è raggiunta dalle prime compagne: la sorella Agnese, innanzitutto, e poi, via via, altre giovani nobili,  attratte da questa vita semplice, dove sentirsi libere di possedere solo Gesù povero, e di essere possedute solo da Lui.
Francesco ama queste sorelle, ed è colpito da questo fatto, che delle donne – deboli e fragili, secondo la concezione della donna di moda nella Chiesa di quel tempo - sapessero amare Cristo con una tale passione, con una tale generosità. E quindi si lega a loro, promettendo di averne cura.
La cura consiste nel custodirle nella povertà, di essere loro fratello nella vita degli ultimi. Per loro Francesco scrive una forma di vita, che ha come cuore non delle cose da fare, non una disciplina, ma una relazione: relazione di figlie del Padre celeste, di spose dello Spirito Santo, di donne innamorate del Signore Gesù, e quindi dimora della Sua vita. Francesco chiama tutto questo “perfezione del Santo Vangelo”, cioè la vita di chi in tutto si fida e si abbandona al Padre delle Misericordie.
La vita a San Damiano è semplice: gli elementi sono gli stessi della  vita monastica tradizionale, ma cambia il cuore e lo stile con cui sono vissuti. Lì dove la povertà è veramente regina, cambia completamente la vita fraterna, e la precarietà rende umile e semplice la relazione fra le sorelle. Santa unità e altissima povertà, dunque, e cioè lavoro manuale, preghiera assidua, silenzio e penitenza. Un umile dare la vita, nella compassione, con e come Gesù.
La notizia della vita condotta da Chiara e dalle sue sorelle inizia a diffondersi al di là della piccola Assisi, e così altre donne, in altre città, sentono il desiderio di seguire la stessa via. In questo cammino si inserisce la figura del Cardinal Ugolino, futuro Gregorio IX, che, in quello stesso periodo sta cercando di organizzare questo vivace e variegato movimento femminile dell’Italia centro-settentrionale, dando  a tutti i monasteri un’unità sia giuridica che carismatica.
Il Papa in persona chiederà a Chiara di rinunciare al suo proposito di altissima povertà, e di rientrare nel “suo”ordine dove via via lo slancio iniziale dell’altissima povertà è già venuto meno, e la regola permette il possesso comunitario dei beni. Ma Chiara è una figura abbastanza irriducibile agli schemi di questo movimento, e i due cammini infine si separano.
Spartiacque fondamentale è il “Privilegium paupertatis” del 1228, in cui il Gregorio IX concede a Chiara, dietro sua richiesta, questo stranissimo privilegio, un unicum nella storia, e cioè che nessuno mai, in perpetuo, possa mai costringere le sorelle di S. Damiano ad avere possedimenti. In un momento in cui tutti chiedevano il privilegio di averne…
Ci vuole tutta la tenacia di questa donna per rimanere fedele alla povertà “che abbiamo promesso a Dio e al padre nostro Francesco”. Chiara lo ripete innumerevoli volte, e da lì non si sposta, a costo di rimanerci da sola.

icona del monastere Ste Claire

Da sola ci rimarrà subito dopo la morte di Francesco, e mentre l’Ordine dei frati tenta nuovi cammini, Chiara rimane memoria vivente e fedele del Padre S. Francesco. Non è questione di avere qualcosa in più o in meno. È questione di identificarsi completamente con il Cristo povero, Lui che così si è fatto nostra via.
Per Chiara, Gesù lo si incontra nella povertà, che è la libertà di amare solo la cosa necessaria, un’unica “cosa”: Dio.
La povertà è l’ “ordine” dell’amore, la possibilità dell’amore vero.
È così che cresce la relazione con Cristo, con il Padre, con lo Spirito, attraverso il passare umile e ordinario dei giorni, con lo sguardo del cuore fisso lì.
Uno squarcio sull’intimità di questa vita ci è regalato dalle quattro lettere che Chiara scrive ad un’amica lontana e vicinissima, Agnese di Praga, principessa boema che nel 1234, dopo aver rinunciato alle nozze con Federico II, entra in un monastero da lei stesso fondato. Un monastero che Agnese vuole fondato sulla stessa via di Chiara, per cui, dopo lunghe e abili trattative, anche Praga  ottiene lo stesso Privilegium di Assisi.
Gli ultimi anni sono custoditi dal silenzio delle fonti.
Un silenzio che partorisce una perla di inestimabile valore, la Regola che Chiara stessa scrive con la sua comunità, e che il Papa Innocenzo IV approva due giorni prima della morte di Chiara, il 9 agosto 1253. Una regola dove Chiara espone con chiarezza i suoi pilastri: la povertà, la relazione con i Frati Minori, una vita di fraternità semplice, dove si condivide, dove non si possiede niente, e quindi dove ci si perdona, dove ciascuna ugualmente è serva dell’altra.
Il silenzio degli ultimi anni culmina anche nelle ultime parole di Chiara, che bastano da sole a dire tutto di lei:
Va sicura, perché hai buona scorta nel viaggio. Va’, perché chi ti ha creata ti ha santificata; e, custodendoti sempre come la madre un figlio, ti ha amato di tenero amore. Tu, o Signore, sii benedetto, che mi ha creata”.
È il cantico di Chiara, di colei che, andando fino in fondo nel cammino della povertà, ha sperimentato fino in fondo l’unica ricchezza che placare la sete più profonda dell’uomo, la sete di avere Qualcuno che si prende cura di lui e che lo ama, nella vita, nella morte, per sempre.





                                                                                                            Monastère S.te Claire, Gerusalemme

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