sabato 1 settembre 2012

Ventisei

Gli Ebrei non pronunciano mai il Nome di Dio: nella Bibbia lo sostituiscono in vari modi, con Adonay, o anche semplicemente con Ha Shem, che significa «il Nome». Lo fanno per rispetto, per timore, in obbedienza al comandamento dato da Dio a Mosé. Ma questa scelta nasconde una veritá profonda e bellissima: Dio é presente non solo quando lo si nomina, ma ancor più quando non lo si fa. Lui c’é esattamente proprio quando sembra non esserci. E quindi é presente sempre, e tutto il creato é sempre sotto i suoi occhi, nelle sue mani. Un esempio di questo é il capitolo quarto della Genesi : Caino e Abele. Dio non é in questa storia solo quando fa comparsa, quando parla: il capitolo é composto di 26 versetti, e 26 é esattamente il valore numerico del Nome divino. Dio é presente dal primo all’ultimo versetto, anche al versetto ottavo, quando Caino alza il braccio per uccidere suo fratello.
Proprio questo é ció che la nostra comunitá vive qui a Gerualemme: é un capitolo della Storia Sacra complesso, umano e nuovo, come ogni altro capitolo. Dio compare qua e lá, ma é presente sempre, nel nostro fare pulizie, lavori piú o meno pesanti, nel fare ordine e nell’organizzare di nuovo tutto, nello studio delle lingue, nei nostri Capitoli settimanali, il cui primo obiettivo é quello di imparare a conoscersi e a capire la lingua dell’altra. E’ presente nei nostri tentativi di cercare una liturgia per una comunitá internazionale, che tenga conto della storia del monastero, della Liturgia della Custodia di Terra Santa e di quella del Patriarcato Latino di Gerusalemme, cioé della Chiesa che vive qui.
E’ presente nella fatica delle sorelle che sono qui da anni, e che vedono la loro vita trasformarsi ed aprirsi a nuovi orizzonti; ed é presente in chi fra noi é arrivata da poco, e  si trova dentro un’insicurezza tutta nuova, e deve trovare la porta attraverso cui, da sola,  entrare nel nuovo di questa vita: il passaggio é duro, perché si tratta di lasciare un mondo, uno stato mentale, una modalitá relazionale, una lingua, un modo di vivere che ti sembravano gli unici, per accoglierne altri, che neanche capisci, che non avevi mai visto. Esattamente come la terra promessa dovette apparire a Israele che passa il Giordano: é la tua terra, ma tu ancora non la conosci.
E’ presente nel deserto di relazioni che Gerusalemme porta in dote, e nell’amicizia preziosissima che i frati della Custodia ci regalano.
E’ presente nel dolore di questa terra, nella sua violenza e nella sua esilissima speranza.
E’ duro ma… “si ricordino, le sorelle, che é per amore del Signore che hanno abbandonato la propria volontá”, dice la Madre Santa Chiara. E’ duro, quindi, finché cerchi di farlo con le tue forze, finché cerchi di capire e finché tenti di chiudere il nuovo in schemi vecchi. Ma é possibile ed é la Terra promessa, se ci stai per amore: allora é proprio una nuova nascita, una nuova bereshit.
A proposito di bereshit: é  una parola che nell’Antico Testamento si trova solo in due Libri, Genesi e Geremia. Genesi é l’inizio di tutto, carico di promessa e di fiducia, senza un passato che ti pesi sul cuore e nella mente. In Geremia, al contrario, bereshit lo si trova al cuore del libro, al cuore di una storia di distruzione e di ricostruzione, di partenza per l’esilio e di promessa di un ritorno che sembra alle porte ancor prima di partire…, una bereshit mescolata nel cuore del dramma della vita, e che salva nella speranza.
Noi camminiamo cosí, in ascolto, un po’ a tentativi, ma con questa speranza sicura, che ad ogni svolta, ad ogni passaggio, se ci guardiamo indietro, vediamo che anche il nostro capitolo é composto di ventisei versetti, come Genesi 4. …
A noi di sapervi leggere il Nome di Dio.

articolo tratto dalla rivista "Terra santa"

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