Il reparto piú fornito della biblioteca del nostro monastero é quello delle lingue: due armadi pieni di vocabolari, grammatiche, corsi, cassette e CD. Abbiamo di tutto, dalle cose piú semplici, (come vocabolari di Italiano, Inglese, Francese…), a quelle giá piú impegantive («L’Arabo senza pena», «L’Ebraico in sei mesi », oppure vocabolari Portoghese-Tedesco…), a quelle decisamente piú strane, come «L’Aramaico per tutti». Ce n’é per tutti i gusti, e stanno lí a dire due cose importanti: la vocazione internazionale della nostra comunitá, che da anni vede l’inserimento di sorelle provenienti da diverse parti del mondo; e lo sforzo, che da sempre le ha caretterizzate, di imparare la lingua dei popoli di quí, per comunicare con la gente del posto.
A Gerusalemme le lingue sono una delle prime sfide: la lingua che sai non basta, e scopri che qui tutti (dal ragazzino di sedici anni, all’imbianchino, all’impiegato) conoscono almeno tre lingue piú di te. Una sfida quotidiana: quando qualcuno suona alla porta, la prima cosa su cui ci si deve accordare é in quale lingua si vuole comunicare. E non é raro il caso che, dopo aver parlato per dieci minuti in Inglese con un visitatore, vieni a scoprire che é piú Italiano di te, e magari si ha pure qualche conoscenza in comune. Ma a parte questi casi fortunati, a nessuno é risparmiata la fatica di sentirsi straniero, e questo sentirsi straniero é un buon punto di partenza per imparare a desiderare di aprire il proprio mondo al mondo dell’altro. Nella Bibbia, soprattutto nei salmi, le due cose vanno spesso insieme: lo straniero é colui che non ha nulla, e quindi puó desiderare. E questa povertá e questa attesa lo rendono capace di incontrare il mondo che lo circonda, di accoglierlo con umiltá.
Fra noi, straniere in questa terra e desiderose di conoscerla, nasce spesso la domanda: quale lingua imparare per prima? Come? Qual é la piú facile, e quale la piú difficile? Riusciró ad impararla?
La prima risposta che la vita di qui regala é che la lingua piú difficile é quella della persona che ho davanti a me in questo momento. Puó parlare l’Ebraico o l’Arabo; ma potrebbe parlare anche l’Italiano, come me, potrei conoscere tutte le parole che mi dice, avere la stessa grammatica e la stessa sintassi, ma rimane comunque uno straniero, rimane un mistero. Per capirlo bisogna comunque fare lo sforzo di lasciare il proprio mondo e di accettare che ne esista un altro, che la tua stessa lingua sia veicolo di un’altra esperienza, di altre idee, di altre emozioni. Bisogna essere ancora piú poveri, allora, ancora piú accoglienti, ancora piú silenziosi.
La lingua dell’altro é la lingua piú difficile, dunque, ma é anche la piú bella: ogni lingua apre un mondo, e ogni mondo ha la sua ricchezza unica, che nessun altro ti potrebbe consegnare, e che tu, da solo, non potresti mai avere.
Per imparare questa lingua, non ci sono libri, né cassette, né CD, neanche nei due armadi della nostra biblioteca…: inutile andare a rovistare. Serve, piuttosto, un profondo silenzio del cuore, abituato a cercare la Vita ovunque essa possa nascondersi, e capace di stupirsi perché la Vita é dappertutto, e chiede solo di essere ascoltata.
Non ci sono dunque libri, ma c’é un Maestro, Lui che é Parola e che per primo, per ascoltarci e per capirci, ha fatto il Suo esodo e ci ha raggiunti qui dove siamo. Il prezzo é stato alto, ma ci é riuscito: ha imparato la nostra lingua, ha ascoltato il nostro desiderio, ci ha parlato a lungo, ci ha dato il Suo Spirito, per ricordare le Sue parole e per dirne di nostre, nella veritá. E per insegnarci che questa veritá abita anche nelle parole dell’altro, qualunque lingua parli. Basta solo saperlo ascoltare.
articolo tratto dalla rivista "Terra santa"
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